Ada Negri

La vita risolta in un grido

«Pallido, con dure mascelle, larghe narici, larga e tumida bocca, archi cigliari di superba nettezza su occhi fosforici d’un'intensità quasi ostile»: questo è il volto che Veronetta Longhena, protagonista del racconto Il denaro, osserva nello specchio. Questo è però anche l’autoritratto di una giovane Ada Negri che in quel personaggio si identifica non solo per i tratti fisionomici, ma per il comune carattere ribelle e combattivo; come lei, Ada si sente «ostile, armata, di razza diversa» rispetto alle sue coetanee; un’adolescente sensibile e caparbia, cresciuta nell’indigenza e giunta poi con ostinazione e forza di volontà al diploma di maestra, che si definisce “di razza diversa” perché è pronta a combattere con la sua poesia per gli ideali in cui crede, ad atteggiarsi, forse con involontaria scaltrezza, a redentrice dei lavoratori sfruttati e oppressi che proprio in quegli anni trovano nel nascente Partito Socialista chi inizia a dar voce alle loro sacrosante proteste e rivendicazioni.

Ada Negri

Proprio grazie al personaggio di Veronetta è possibile cogliere le caratteristiche del pensiero sociale della Negri, che scaturisce non solo dalle teorizzazioni in voga a fine secolo, ma soprattutto dalla sua esperienza personale: in particolare dai racconti della madre (operaia al lanificio di Lodi, dove infortuni sul lavoro, soprusi, licenziamenti in tronco sono la normalità) e della nonna, portinaia in casa Cingia-Barni. L’irritazione e lo sdegno della fanciulla di fronte a queste discriminazioni sono le stesse di Veronetta, che ha come lei una madre operaia, e che un giorno assiste, rabbiosa ma impotente, al licenziamento di una vedova che ha sottratto quattro matasse di lana per sfamare i propri figli. [ ... ]

L’autobiografismo è una costante che riaffiora carsicamente nell'opera di Ada Negri, fino a darci di lei un ritratto che probabilmente nessuna autobiografia fedele e realistica avrebbe potuto offrirci. Molti anni dopo questo autoritratto verrà compiutamente realizzato nel romanzo Stella mattutina (1921), dove una Negri ormai cinquantenne e famosa rievoca la vita e i pensieri della bambina sognatrice precocemente “stregata” dal teatro, della scolaretta che scopriva Omero e Dante, i romanzi d’appendice, Zola e Dumas padre, della maestrina diciottenne che affrontava con trepidazione la prima esperienza di insegnamento, della giovane orgogliosa indignata per l’ingiustizia sociale di cui era divenuta consapevole.

L’epigrafe che potrebbe suggellare la lunga ricerca artistica di Ada Negri è in un testo della raccolta Le strade dove la scrittrice riconosceva in sé l’anelito a un costante rinnovamento e l’aspirazione a innestarsi nell’eterno succedersi delle stagioni: «Se [la terra] mi dicesse che anche dalle mie radici può ricrescere, rifiorire quel che è stato portato via! Non mi rassegno a credere che, in me, quel ch’è stato non debba essere ancóra. Invidio la terra che ho nelle mani: sembra insensibile, e invece possiede tanta energia di continuazione. Ma non mi ascolta, non mi parla, non mi consola: è sorda ed è muta, perché eterna. La vita mia, chiusa fra i limiti della nascita e della morte, compendiata e risolta in un grido, nulla è in confronto al rinnovarsi delle stagioni, e delle forze terrestri nel tempo» (Il carro di fieno).

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