Il sogno di Draga

Sorrise con labbra procaci,
con piccoli denti felini
la donna al suo sogno, ne l’ombra.
Sì grande era il sogno
che vincer le parve follia;
ma grande era pur la malia
degli occhi d’amore,
di sotto a le palpebre chini;
ma il fiero destino era scritto
    nel suo nome, nel suo nome,
lucente, terribile e dritto
qual filo di spada.
Creata ad ambigue vittorie
ella era; in quel corpo era chiusa
la forza di tutte le glorie
del senso. — Ella sorse. — L’effusa
sua chioma pareva una veste
regale. — Ella andò. — Le tempeste
a lei saettavano i fianchi,
gonfiandole il labbro di sfide,
gonfiandole il cuore d’orgoglio.
Salì fino a te,
salì dal tuo letto al tuo soglio,
o giovine re!...

Co’ suoi tenebrosi capelli
la pallida maga t’avvinse.
Tu, contro la storia e la plebe,
tu, contro i destini
di patria, fanciullo selvaggio,
bevesti a quel bacio, a quel raggio,
la fede, la vita.
Ed ella il tuo cuore si strinse
nel piccolo pugno di fata,
    invincibile, invincibile,
allor che, al tuo piede prostrata,
susurrava: «T’amo.» —
Mentiva, mentiva, pel trono
gonfiando il suo grembo infecondo,
indegna di tregua e perdono,
profanante gli occhi del mondo
per sete di regno un altare.
Sfidò, come scoglio nel mare,
il nembo fischiante. — Fu sola
in faccia a l’Europa. — Con denti
difese e con unghie di belva
il suo sogno, o re.
E cadde qual tigre a la selva,
ma cadde con te!...

Regina di Serbia, stanotte
scordasti, per l’ore solenni,
la veste di rosso broccato?...
Purpurea qual sangue
di vinti è la tunica slava
che avvolger ti dee, prima schiava
d’un torbido regno,
di patria ne l’ore solenni.
Ma gli ebbri soldati, o superba,
    ti preparano, ti preparano,
col piombo, la tunica serba.
Per venti ferite
cadendo, due volte sovrana,
scontando con l’empio martirio
la gloria terribile e vana,
il vano infecondo delirio,
scagliando ancor l’ultimo insulto
sul viso a la Serbia in tumulto,
tu insanguinerai terra e mare
col tuo sangue di leonessa.
Il manto regal di Teodora
volesti per te.
Or cadi, com’essa, ne l’ora
fatale dei re!...

Nel campo ove immemore l’erba
verdeggia su l’umili fosse,
o Draga, il tuo sogno è sepolto
con te. — Tu passasti
sul capo di cento ribelli,
sul filo di cento coltelli,
fra il plumbeo silenzio
che cova fragor di sommosse,
armata di scudo e d’elmetto
    pel tuo sogno, pel tuo sogno,
che or serri, in eterno, sul petto.
Tessuto di perle
e d’oro, gemmato di ardenti
rubini, grondante di sangue,
ti avvolge le membra possenti
fra spire fantastiche d’angue.
In vita toccasti il tuo segno:
nel mondo godesti il tuo regno:
se rosso martirio ti lava,
se crisma di morte t’assolve,
riposa — o pirata del soglio. —
Riposi con te,
sgabello al tuo misero orgoglio,
il fosco tuo re!...

Tratta dalla raccolta: 
Maternità
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25