Luna sulla città

Luna, che sorgidi su l’alte case
della città, nell’ora in cui si placa
il tumulto dei traffici, e ai cristalli
splendon luci improvvise, e per le vie
lampade bianche sboccian tonde in fila
a farti specchio mentre in ciel cammini:
sempre sei quella ch’io, fanciulla, un tempo
miravo da’ miei campi e dal mio fiume;
e m’illudea, sì vasto era l’incanto,
essere tu ed io sole nel mondo.
Ora, sulla città greve di folla,
dura d’asfalti, irta d’antenne, inferma
di rumor, di fatica, di travaglio
cupido e vano, ov’io perdei me stessa,
tu la tregua di Dio porti, ed assolvi
col tuo riso celeste ogni peccato.
E mentre guardi a noi, passi vagando
anche sui flutti del profondo mare,
sui sentieri e le vette ardue de’ monti,
e su placidi laghi e lontananze
di foreste e di prati; e ovunque l’uomo
trovi; e l’illudi; ché tu sempre sei
quella; ma per ciascun sola a lui solo.
Sola a me sola, ecco, ritorni, o luna,
e nell’effuso tuo pallor m’oblio
come allora che tu m’eri custode
sull’abbandono del virgineo sonno.
Se ti son cara, questa notte almeno
la fanciulla ch’io fui veglia nel mio
sonno; e dormendo io sogni esserti accanto
fanciulla eterna nell’eterna pace.

Tratta dalla raccolta: 
Vespertina
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